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Elisabetta Genuizzi Sassoli de’ Bianchi

Giulia Birindelli è una sagoma chiara, allorché mi accoglie sulla porta della sua casa-studio loft milanese; si confonde con il bianco ed il beige dell’interno. Colori neutri-primari, sui quali, un poco alla volta, iscrivere tutti gli altri.

Alle pareti, disposti secondo un ordine metodico e rassicurante, i suoi lavori. Da una parte le tele; i pensieri che si fanno fili, riannodati secondo un intreccio complesso ed articolato; gomitoli di emozioni, tracce di “pentimenti” ad ingombrare il rovescio della superficie, per poi risolversi in una soluzione armonica alla visione.

Nulla è lasciato al caso; ogni foro frutto di un’indagine intensa e sofferta; colori che seguono i rapporti di un arcobaleno di pensieri, che si armonizzano nel tentativo di indicare un’ipotesi, una direzione, perseguita fra le molteplici che si affacciano alla mente.

Dall’altra parte della stanza, le sue tavole; della consistenza di un legno leggero: acero, cedro oppure ciliegio. Le  venature si fanno “finestre” semi-aperte: lettere di un linguaggio dell’anima che, nell’assumere una forma, pare accogliere, allo stesso tempo, il mistero dell’ombra. A ricordarci quanto è limitato il nostro vedere, e, allo stesso tempo, per aprire un’ipotesi attorno alla quale potersi, per un attimo, soffermare.

Giulia Birindelli: “Il testo intagliato, facendo sorgere fra le sue pieghe il buio, lambisce il carattere straordinariamente limitrofo del linguaggio, il suo posare su qualcosa di non padroneggiabile, di nascosto. E ancora: “…proprio l’indicibile, quel buio che il senso si porta dietro di sé è la condizione di possibilità perché si possa ancora dire qualcosa di sensato”.

L’artista Birindelli scava la superficie della tavola, indaga la materia della tela, per rintracciarvi l’ipotesi di un nuovo, eppure antico ordine e, al tempo stesso, ri-costruisce la visione, “contenuta” entro i limiti del supporto, ma che, al tempo stesso, trova nelle feritoie del segno, la forza per solcare l’apparenza, nel tentativo di cogliere anche ciò che l’occhio non vede.

La mano tesse trame; il pensiero detta parole; citazioni prese a prestito dai grandi della letteratura, frasi che si rincorrono, per poi ricomporsi in una sorta di mantra, da recitare per chiamare a sé le forze dell’intelletto, in una tensione verso una ipotesi di risoluzione armonica tra spirito e materia;sentieri tracciati da solchi lasciati dal suo vissuto di donna, prima che di artista.

Ed è questa la grande forza meditativa di questi lavori.

Forse che lo sguardo che Giulia pare voler trattenere, attraverso la rigida soluzione formale adottata nelle sue opere, possa essere di invito a soffermarci un attimo più a lungo, a concedersi il tempo dell’osservare e del sentire, un tempo dilatato dalla necessità di meditare parole da lei scelte con cura; frecce scoccate dal suo sentire più profondo, alle quali aggrapparsi, ognuno con la propria modalità, nel tentativo di penetrare il mistero inespugnabile della nostra umanità.

 

Novembre 2016

 

Eli Genuizzi Sassoli de’ Bianchi

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