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Andrea Branzi

 

 

 

Giulia Birindelli

 

 

Giulia Birindelli rivendica la sua formazione proustiana, ma questi lavori manifestano una strategia della parola molto diversa da quelle madeleine che si sciolgono in bocca rivelando universi di memorie sepolte.

Al contrario le incisioni sottili e precise, tagliate con un bisturi sulla pelle viva, mi rimandano ai

versi dei poeti meledetti, da Mallarmé, a Rimboud a Verlaine, e soprattutto a Dylan Thomas; poeti dove le parole lasciano una ferita aperta e una cicatrice che non si rimargina. Parole velenose e spesso oscure.

Anche Giulia è perfettamente cosciente della dimensione crudele del suo lavoro, che raccoglie versi sparsi, segmenti di pensiero di autori diversi e discontinui, e li trasforma in epigrammi, in lapidi eterne ma fragili.

Scrive infatti Giulia che i suoi intagli “rimandano a una sorta di inadeguatezza del linguaggio, a quel suo essere sempre una soglia tra il dicibile e l’indicibile. Il senso, per nostra fortuna, non è dato una volta per tutte: il testo intagliato, facendo scorgere tra le sue pieghe il buio, esibisce il carattere straordinariamente limitrofo del linguaggio (e della poesia in modo esemplare), il suo posare su qualcosa di non padroneggiabile, di nascosto”.

Queste parole sono molto precise e rivelano il senso del proprio lavoro, che avvicina la vitalità della poesia al presagio della morte, che la natura effimera del verso presuppone sempre.

“E proprio l’indicibile, quel buio che il verso si porta dietro di sé, è la condizione di possibilità perché si possa ancora dire qualcosa di sensato”.

La letteratura infatti ha sempre presupposto l’esistenza della non-letteratura, quel vuoto oscurosu cui essa si poggia; in questo senso la poesia che diventa direttamente arte, superficie vibratile, paesaggio quasi indecifrabile, territorio tridimensionale del pensiero, appartiene molto al XXI secolo.

Un secolo dove le certezze e l’ottimismo della modernità stanno lasciando spazio a un livello più profondo delle cose, presenze ambigue, incerte, che appartengono alla vita degli uomini e non soltanto al mercato globalizzato.

Questo sta succedendo anche nella cultura del progetto, dove riemerge, accanto alle tecnologie avanzate, il significato sacro (troppo a lungo dimenticato) degli oggetti quotidiani. E’ proprioquesta dimensione misterica che emerge nelle incisioni di Giulia Birindelli, superfici ferite che trasformano i versi in testi sacri, poesie provvisorie che diventano eterne nel momento che manifestano la propria incompiutezza.

 

 

Andrea Branzi

Dicembre 2011

 

 

 

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