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La mostra romana alla Casa delle Letterature, a cura di Maria Ida Gaeta, presenta suoi lavori selezionati seguendo un percorso che intende raccontare l’evoluzione del rapporto con la parola e con la scrittura nella sua esperienza artistica.

 

Una relazione che negli anni si fa sempre più intima, dall’iniziale taglio in stampatello e poi in corsivo di parole altrui, ad una dimensione sempre più intima e personale, fino a farsi ferita nel ricamo e poi, ritornando ad essere taglio,  strappo e lacerazione.

 

Dai primi lavori, quindi, che sono intagli fedeli di testi scritti dai poeti o scrittori più amati, alle tele dove compare la sua scrittura che si fa nascosta, incomprensibile, agli squarci e spiragli delle ultime tele in cui la parola è solo taglio, ferita, superficie rammendata, scopriamo una creatività che va sempre più verso la rarefazione e l’astrazione, definendo la propria vocazione e costruendo una propria, forte intensità.  

A fare da architrave a tutto questo percorso, un grande pannello, allestito sul grande muro della galleria espositiva della Casa delle Letterature, composto da un ricamo sulle pagine del libro Elogio dell’inconscio.

 

“Da ancora adolescente tappezzavo le mattonelle del bagno con dei brani di libri che amavo di più.  Li volevo lì, a portata di mano. Volevo ricordarmi, ad esempio, che non esiste una sola verità ma che “nostro compito è aumentare il numero delle verità” (Pareyson), e così l’ho scritto sopra alla vasca da bagno. Poi accanto allo specchio, perché mi mettesse buon umore tutte le mattine, avevo segnato un aforisma di Bufalino “certe mattine di luglio la mia anima porta a braccetto il suo corpo e lo porta a spasso con lui”. - ricorda la Birindelli  - Oggi, adolescenza e aforismi alle spalle, della parola scritta mi commuove la precarietà, la provvisorietà, quel suo essere spiraglio, fessura, apertura. Come diceva Proust, noi vorremmo che lo scrittore ci desse delle riposte, quando tutto quel che può fare è darci dei desideri"

Giulia Birindelli, quindi, sin dall’adolescenza è fortemente attratta dalla letteratura, dalle parole degli scrittori e dei poeti che poi continuerà a frequentare anche per i suoi studi. Ma diventando sempre più cosciente anche della fragilità e della inadeguatezza del linguaggio, di quel suo essere sempre una soglia tra il dicibile e l’indicibile, della sua impossibilità di esprimere fino in fondo quanto c’è di non padroneggiabile e di nascosto nelle nostre vite. Ed è in questo presupporre qualcosa di non esprimibile che risiede la forza della parola, è proprio questo il punto, il luogo in cui la parola scritta o, se si vuole, la letteratura, può incontrare l’arte.

Scrive, infatti, Giulia  “… il testo intagliato, facendo scorgere tra le sue pieghe il buio, esibisce il carattere straordinariamente limitrofo del linguaggio (e della poesia in modo esemplare), il suo posare su qualcosa di non padroneggiabile, di nascosto” mostrando grande consapevolezza del proprio lavoro e grande fiducia nell’arte che solo quando e se accetta la propria incompiutezza, svelando il vuoto e il mistero dell’indicibile, può ancora produrre  senso.

 

 

 

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